Il sole scivolava lento oltre il profilo della città, tingendo di rosso e oro le onde calme del mare di Ostia. Uno dei pochi posti in cui, in certi periodi dell'anno, si possono ammirare sia l'alba che il tramonto nello stesso giorno. Qui, tra i resti di antiche strade e la sabbia ferrosa, intere generazioni hanno lasciato impronte, ricordi e, talvolta, sogni infranti. Ragazzi che giocavano a pallone con qualsiasi cosa trovassero: un barattolo, una bottiglia, un pezzo di legno. Ostia è sempre stata così – ruvida, ma capace di regalare momenti di magia, proprio come tutte le borgate romane, quelle periferie che portano i segni più veri e duri della città.
In un angolo abbandonato, accanto alla riserva della LIPU, dove uccelli rari trovano rifugio, Teo colpiva un pallone sgonfio, riuscendo comunque a farlo rimbalzare con un tocco tanto delicato quanto deciso. I suoi occhi erano concentrati, fissati sul movimento del pallone, come se in quel gesto potesse racchiudere tutto il suo talento. Ma quel talento non aveva mai trovato una squadra, né una scuola calcio. Perché? Perché sognare, per lui, aveva un costo che non poteva permettersi. Con il tempo si era raccontato che a lui lo sport non interessava affatto.
Dall'altra parte del campo, Tea , una ragazza gracile dai lineamenti delicati, osservava i movimenti di Teo. C'era qualcosa in quel ragazzo che attirava la sua attenzione. Non era solo la passione con cui giocava, ma il modo stesso in cui colpiva la palla: le sembrava una lingua antica, fatta di movimenti e silenzi. Anche lei conosceva quella lingua. Amava la danza, ma il suo sogno si era scontrato contro la dura realtà: anche la danza aveva un costo. A differenza di Teo, però, Tea non aveva mai smesso di crederci. Sapeva di avere la tenacia necessaria per riuscire un giorno a frequentare una scuola di danza.
Senza esitare, si avvicinò a Teo.
«Giocare da solo dev'essere noioso,» disse con un sorriso, interrompendo quel momento di concentrazione.
Teo si voltò, sorpreso. «È meglio che niente,» rispose con un tono che voleva sembrare sicuro, ma nei suoi occhi si intravedeva un velo di tristezza, un'amarezza che Tea riconobbe all'istante.
«Perché non giochi in una squadra? Non frequenti una scuola di calcio?» domandò lei, quasi innocente.
Teo abbassò lo sguardo, osservando il pallone ormai esausto. «Non m'interessa,» disse, ma la voce tradiva un accenno di rabbia inconsapevole.
Tea non insistette. Fece invece un passo indietro e accennò un movimento, una piccola piroetta. Un gesto semplice, appena accennato, che le venne spontaneo. Solo dopo si rese conto che Teo la stava guardando, incuriosito, quasi affascinato dalla grazia dei suoi passi.
«Ti piace la danza?» chiese lui, con quel misto di timidezza e interesse che solo i ragazzi sanno avere.
Tea annuì, poi scosse la testa. «Sì… ma è solo un sogno», rispose. Anche lei, come Teo, sapeva che certi sogni erano riservati a chi poteva permetterseli.
Rimasero in silenzio, uno accanto all'altro, mentre il sole continuava a calare, dipingendo la LIPU e il campo di un arancione intenso. In quel momento, come a voler dar forma a una speranza nascosta, i due ragazzi si scambiarono uno sguardo di complicità. Avevano trovato l'uno nell'altra la forza di credere nei propri sogni, anche se solo per un istante.
Camminando, si avviarono verso un edificio abbandonato, uno dei tanti nelle borgate romane. Aveva un fascino particolare e una rampa in cemento, costruita per portare le automobili al piano superiore, che ora stava per servire a loro due per ammirare la LIPU dall'alto.
«Saliamo a vedere gli uccelli,» disse Teo, porgendo la mano a Tea che, anche se impaurita dall'edificio abbandonato, accettò e lo seguì.
Dall'altra parte del campo, un uomo osservava la scena . Era passato per visionare un edificio confiscato dallo stato e abbandonato da anni. Le borgate romane non gli erano nuove; ne conosceva bene l'aria e ne era sempre stato attratto. Sapeva cosa significava crescere in quei luoghi, tra case occupate, disoccupazione e storie di violenza e riscatto. Lui, sognatore e innamorato dello sport, aveva fatto dell'aiuto alle persone la sua missione. Ridare speranza a chi, come quei ragazzi, ne aveva sempre avuta poca, era diventato il suo lavoro.
Vedere Teo e Tea al tramonto, concentrati sui loro sogni, gli riempì il cuore e la mente di una sola idea: creare per loro e per molti altri un luogo in cui realizzare quei sogni. Aveva capito tutto senza bisogno di ascoltarli; conosceva bene le storie di quei ragazzi. Forse quella città dell'automobile poteva avere una seconda vita, diventare una palestra, magari, dove chi poteva pagare sostenesse chi non poteva. Un posto dove nessuno si arricchisse, ma tutti ne traessero qualcosa.
Tornato al suo ufficio, presso l'Asilo Savoia, un ente che da anni lavorava per sostenere chi si trovava in difficoltà. Continuava a pensare a quei due giovani ea quell'idea che aveva preso forma in lui. Aveva capito come usare quei locali, frutto dell'illegalità, per creare un progetto sociale, destinato ai ragazzi.
Non ebbe dubbi. L'Asilo Savoia rende realtà quel sogno, dando vita al progetto. Nacque così il progetto TalEntO & TEnaciA , la palestra della legalità di Asilo Savoia. Un luogo che avrebbe accolto chiunque avesse bisogno: ragazzi e adulti, come TEO e TEA, capaci di sognare contro ogni difficoltà. A volte, il vero miracolo non è realizzare i propri sogni, ma trovare qualcuno che creda in te abbastanza da costruirci un intero mondo attorno.
